Attualità

set42018

Oncologo e nutrizionista: sinergia vincente

La nutrizione oncologica è da diversi anni sempre più protagonista per la crescita professionale della categoria in forza delle nuove evidenze scientifiche che stanno emergendo e per merito di una virtuosa presa di consapevolezza da parte dell'oncologia dell'importanza che riveste l'ambito nutrizionale nella presa in carico del paziente. Grandi progetti di integrazione tra professionalità distinte che hanno come fine ultimo il miglior servizio possibile a un paziente con caratteristiche peculiari, ma non poche difficoltà nel rendere concrete le sinergie. Nutrizione33 ha chiesto l'opinione del dottor Paolo Pedrazzoli, direttore del reparto di oncologia della Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo di Pavia e coordinatore del tavolo di lavoro congiunto AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) - SINPE (Società Italiana di Nutrizione Parenterale e enterale) - FAVO (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia) che pochi mesi fa ha portato alla pubblicazione della "Carta dei diritti del paziente oncologico all'appropriato e tempestivo supporto nutrizionale".

«Lo sforzo di questi anni ha consentito di ottenere grandi risultati: aumentare la consapevolezza sugli aspetti nutrizionali nella comunità degli oncologi medici, e di conseguenza migliorare le terapie di supporto nutrizionale dei pazienti, e la pubblicazione di raccomandazioni basate su revisioni esaustive della letteratura. Ci sono realtà nelle quali esiste già una collaborazione stretta e consolidata tra le strutture oncologiche e le unità di nutrizione clinica ospedaliera, che iniziano a lavorare insieme nel momento del ricovero del paziente, ma sappiamo che questo modello di interscambio tra le professionalità non è una realtà molto diffusa sul territorio. Nella nostra realtà è la struttura di nutrizione clinica dell'ospedale che prosegue la presa in carico del paziente anche sul territorio, costruendo percorsi nutrizionali che il paziente effettua a casa. Recentemente il Ministero della Sanità ha proposto un documento di indirizzo che dovrebbe guidare le Regioni nella creazione di percorsi strutturati di presa in carico globale del paziente e che migliorino l'integrazione ospedale - territorio: l'obiettivo è ben chiaro, ma la difficoltà di rendere operative queste volontà è oggettiva. In particolare, per l'ambito oncologico ci sono troppi pochi nutrizionisti clinici per far fronte al numero di pazienti che ne avrebbero necessità. E questo è un vero peccato perché l'anello debole è un paziente che ha davvero necessità di supporto nutrizionale, che oggi paradossalmente ha la consapevolezza di averne bisogno, ma che non sa a chi rivolgersi, finendo troppo spesso "in cura" a chi non ne ha adeguata preparazione, facendo grandi danni. Spesso chi si occupa di nutrizione, ma non ha formazione in ambito oncologico, confonde la prevenzione primaria con l'intervento nutrizionale necessario in fase di trattamento, o si lascia guidare da chi sostiene che il tumore si nutre di zuccheri o altri alimenti, o che il digiuno per terapia è utile a contrastarne gli effetti collaterali, contribuendo al disorientamento del paziente e al peggioramento del quadro nutrizionale e della prognosi. Per risolvere questo problema la chiave è la collaborazione tra le società scientifiche che promuovano percorsi di formazione condivisi da oncologi e nutrizionisti, di modo che si parli la stessa lingua, educhino e supportino il paziente affinché impari a pretendere il percorso di cura migliore, e coinvolgano il più possibile le istituzioni. Con il tavolo di lavoro che coordino tra AIOM, SINPE e FAVO è ciò che sto portando avanti, ma una chiave per accelerare le sinergie professionali potrebbe essere cercare la collaborazione di altre società scientifiche che si occupano di nutrizione e che hanno capillarità territoriale. Il documento redatto dal Ministero infatti lascia spazio a diverse possibili soluzioni per la presa in carico del paziente e, purché una prima valutazione sia fatta in ospedale, esistono molti scenari pensabili per la gestione territoriale del malato, che non escludono neppure l'ambito privato, ma è indispensabile che si strutturi un linguaggio comune e un percorso di cura condiviso».

Silvia Ambrogio


DALLE AZIENDE