Attualità

set162015

Anisakis: un'insidia nel pesce crudo o poco cotto

L'Anisakis è un nematode parassita le cui larve possono infestare le carni di pesci e cefalopodi comunemente consumati dall'uomo, causando una zoonosi alimentare con conseguenze rilevanti. Il ciclo biologico di questo parassita coinvolge un numero elevato di ospiti. A. vive nello stomaco dei grandi mammiferi acquatici che, attraverso le feci rilasciano le uova nell'acqua di mare. Le larve che ne escono vengono ingerite, incistandosi nelle viscere, da piccoli crostacei, a loro volta preda di pesci e molluschi. Il ciclo si chiude con l'ingestione da parte dei mammiferi marini di pesci infestati.  L'uomo invece può infettarsi consumando carne di pesce invasa da larve vive, poco cotta o cruda, contraendo così l'anisakiasi, zoonosi che si può manifestare in forma acuta o in forma moderata. Le forme acute sono caratterizzate a livello gastrico da dolori intensi, nausea e vomito e a livello intestinale da dolori addominali, diarrea e febbre. Le forme moderate a livello gastrico causano perdita di appetito ed epigastralgie, mentre a livello intestinale sono più subdole. Le larve del parassita, che migrano nel muscolo subito dopo la morte dell'ospite o che lo contaminano durante le operazioni di eviscerazione, possono anche causare reazioni allergiche IgE mediate con orticaria, pomfi, asma e shock anafilattico. I casi più numerosi siano stati registrati in Giappone, dove è frequente il consumo di pesce crudo, ma stanno crescendo anche negli stati Uniti e in Europa. Secondo un documento dell'Istituto Superiore di Sanità, in Italia "il numero di casi umani sembra essere sottostimato" perché larve del parassita sono presenti nei mari italiani anche in acciughe, melù, naselli, sgombri, suri, pesci sciabola e totani e perché il consumo di pesce crudo (carpaccio, marinato o affumicato a freddo) è pratica comune in alcune regioni. Le larve di Anisakis simplex e Pseudoterranova decipiens, principali responsabili della malattia, sono resistenti ai normali processi di marinatura e refrigerazione cui viene sottoposto il pesce, ma possono essere inattivate attraverso la cottura (1' a 65°C al cuore del filetto di pesce) o il congelamento. La legge prevede infatti che la somministrazione e vendita di pesci e molluschi cefalopodi da consumare crudi implichi un preventivo congelamento a -20° C per almeno 24 ore, oppure a -35° C per almeno 15 ore, sebbene questa modalità non protegga da reazioni allergiche avverse i soggetti che già hanno una sensibilizzazione.

Francesca De Vecchi


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