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gen262017

Perfluorati: dalle acque superficiali una minaccia per la catena alimentare

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Era il 2013 quando uno studio del CNR-ISRA Istituto di Ricerca sulle acque superficiali, commissionato dal Ministero dell'Ambiente per valutare la presenza di inquinanti ambientali perfluorati nei principali bacini idrici italiani, rilevava una situazione critica in una sessantina di comuni veneti compresi fra le provincie di Verona, Vicenza e Padova: le concentrazioni dei composti monitorati infatti risultavano significativamente superiori a valori soglia, non solo nelle acque superficiali ma anche nelle acque di falda, dimostrando che la contaminazione, probabilmente dovuta agli sversamenti di aziende chimiche della zona, durati anni, si era diffusa alla catena alimentare, come hanno poi provato le analisi su campioni di alimenti e foraggi, esponendo a grave rischio per la salute gli abitanti. Dopo l'immediata messa in sicurezza dell'acqua potabile in distribuzione attraverso l'apposizione di filtri a carboni attivi, per ridurre l'esposizione a tali sostanze, sono stati eseguiti biomonitoraggi sulla popolazione interessata. È emerso che 250mila persone sono state esposte e circa 60mila presentano ancora oggi livelli elevati di contaminazione nel siero.
I composti perfluorati PFC sono molecole impiegate per le loro caratteristiche chimico-fisiche nella produzione di numerosi oggetti impermeabili e antiaderenti: dai polimeri plastici, alle fibre tessili, fino a molti casalinghi, contenitori per alimenti, comprese pentole e padelle e carta oleata antiaderente. Due in particolare, l'acido perfluoroottansolfonico (PFOS) e l'acido perfluoroottanoico (PFOA) sono considerati inquinanti persistenti che non si decompongono a seguito dei naturali processi di degradazione a opera della luce, dell'acqua o di batteri. Si accumulano nell'ambiente, entrano nella catena alimentare (nei pesci soprattutto) e bioaccumulano negli organismi viventi, con tempi di smaltimento anche di 4 o 5 anni. Hanno dimostrato di causare molti effetti avversi, soprattutto a carico del fegato, della tiroide e anche della fertilità.
Oggi sono classificati come interferenti endocrini, ma la presenza negli alimenti non è normata (non dovrebbero comunque esserci). Per limitare il rischio di esposizione è necessario ridurre l'uso dei materiali che li contengono, soprattutto in ambito alimentare, come da monito dell'Istituto Superiore di Sanità: per esempio sostituire utensili e pentole antiaderenti appena appaiono segni di usura; utilizzare la carta oleata a contatto con gli alimenti solo secondo le indicazioni del produttore e ridurre il consumo di popcorn da cuocere al microonde avvolti in buste contenenti composti perfluorati.

Francesca De Vecchi


DALLE AZIENDE