Scienza

set282017

Nutrigenetica: un campo applicativo ancora da esplorare

La personalizzazione del trattamento nutrizionale grazie alla genetica è una realtà concreta o ancora un sogno e una speranza?
Nutrizione33 lo ha chiesto al dottor Sergio Cocozza, professore di genetica medica all'università di Napoli Federico II e lui, con la grande ironia che lo caratterizza, ha cercato di fare il punto per noi della situazione. "Innanzi tutto mi permetto una considerazione introduttiva, ovvero che non vorrei essere al posto di chi si occupa di nutrizione clinica oggi perché, se la richiesta sempre più pressante da parte delle persone su che cosa debbano mangiare - una domanda che, per esempio mia madre mai si sarebbe posta - crea un mercato professionale dinamico, rispondere alle aspettative dei clienti/pazienti non è così semplice.
Tanto dipende dalla complessità della materia, ovvero il cibo, dalla nostra complessità come organismi e dal fatto che è relativamente recente l'interesse della scienza alla domanda del cosa mangiare, quindi le certezze in materia sono poche. Se si sommano, poi, gli approcci a volte "ideologici" dei vari punti di vista presenti, si ha un quadro davvero complesso all'interno del quale deve muoversi chi si occupa di nutrizione.

Tra "pessimisti" e "ottimisti" chi avrà ragione? I sostenitori del fatto che ci adatteremo anche a tutto quello che introduciamo nella nostra alimentazione, così come è avvenuto spesso in precedenza, o chi sostiene che non sapremo adattarci e che la stessa selezione naturale che tante volte nel corso della storia ci ha fatto adattare agli alimenti non potrà funzionare in queste condizioni. Noi, al momento, non siamo in grado di dirlo con precisione. Di certo possiamo dire che se e quanto un certo alimento ci faccia bene è dettato dai nostri geni e che i nostri geni sono fatti così a causa della selezione naturale. La possibilità di creare un'alimentazione personalizzata, adattata a ogni individuo in base alla sua struttura genica è quindi oggi teoricamente possibile. Ma il passaggio dalla teoria alla pratica è tutt'altro che banale. Primo e intuitivo discorso: il livello di accumulo di conoscenza che abbiamo è ancora abbastanza modesto, anche se si susseguono sempre più spesso lavori che mostrano l'effetto di questo o quel nuovo gene sulla capacità di metabolizzare un nutriente, o che mostrano un nuovo livello di adattamento nella nostra specie; ma se fosse solo questo il problema basterebbe armarsi di pazienza e attendere i tempi della scienza. Il secondo fattore limitante è di tipo concettuale e metodologico, e questo è di più difficile soluzione. Se c'è un qualcosa a livello genetico che mi rende più adatto a uno specifico alimento, questo qualcosa non è sicuramente un singolo gene, ma un insieme di geni anzi, forse centinaia o migliaia di geni. Questa complessità, negli studi di popolazione a livello metodologico comporta quella che gli statistici chiamano "maledizione della dimensionalità": più variabili studio insieme (di più geni insieme voglio stimare l'effetto) più la dimensione del campione deve aumentare. Faccio un esempio concreto: se all'interno di una popolazione che sale su un autobus vogliamo individuare le persone che hanno una maglia rossa da quelle che hanno una maglia blu, lo studio sarà relativamente facile e ci servirà osservare un numero limitato di casi. Se aumentiamo le variabili di suddivisione dell'esempio, come il sesso, quindi maschi o femmine, maglia blu o rossa, iniziamo a complicare lo studio e serviranno più osservazioni perché alcune combinazioni potrebbero essere rare... figurarsi cosa può succedere se introduciamo sfumature dei colori o aggiungiamo anche incroci tipo uomo, maglia blu, calzini a righe e sciarpa... è di questo che stiamo parlando! Più sono rare le combinazioni più, per raggiungere una significatività statistica, sarà necessario studiare una enorme quantità di soggetti. Ma nella scienza non ci sono limiti insormontabili e ci si sta lavorando, ma oggi questo è un limite concreto della genetica applicata alla nutrizione. Ed è un limite che appare evidente nei kit di analisi nutrigenetica presenti sul mercato. Nessuno di essi è in grado di dare un quadro complessivo ma si limita a valutare una serie singoli geni. Mi spiego: uno studio dimostra una correlazione tra una variante genica di un gene, per esempio quello per l'apolipoproteina, e le calorie con una p significativa. Ciò vuol dire che la relazione esiste, ma quanto dipende dalle altre varianti geniche? Come si interpreta la presenza di quella variante insieme alle altre varianti analizzate? Come si può applicare quest'informazione al comportamento alimentare del paziente? A queste domande ancora non c'è risposta certa. Si aggiunga poi che diversi kit commerciali usano anche pannelli genici differenti e si può facilmente capire quale sia la solidità scientifica e l'utilità pratica di questi prodotti. Quindi l'associazione esiste, ma nasconde una "black box", che oggi non sappiamo ancora interpretare e trasformare in una indicazione utile alle persone. Ci arriveremo? Certamente. Il limite concettuale di cui parlavo prima non riguarda solo il rapporto geni-alimenti ma è un problema scientifico generale su cui molti scienziati stanno lavorando e da cui è fondamentale uscire. E sicuramente ne usciremo."

Silvia Ambrogio


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