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feb242016

Neuroimaging per la diagnosi precoce dei disturbi del comportamento alimentare

Secondo uno studio recentemente pubblicato su Behavioural Neurology, il neuroimaging potrebbe migliorare la diagnosi e la prognosi nei soggetti affetti da disturbi del comportamento alimentare (Dca).
Antonio Cerasa e Isabella Castiglioni dell'Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Catanzaro e Milano (Ibfm-Cnr), in collaborazione con l'Associazione Ippocampo, hanno messo a punto un sistema che potrebbe consentire una diagnosi precoce dei Dca grazie alla rielaborazione di immagini del cervello rilevate con la risonanza magnetica.
Attualmente non esistono biomarcatori che possano chiaramente identificare gli individui affetti da anoressia nervosa (An) o bulimia nervosa (Bn), che sono fra i disturbi alimentari più frequenti; un metodo per identificarli potrebbe aiutare a migliorare non solo la diagnosi precoce, ma anche la pianificazione del trattamento e il controllo della progressione della malattia.
Nell'ultimo decennio grazie alle tecniche di neuroimaging è stato possibile associare a questi disturbi alcune modificazioni di specifiche aree cerebrali come il sistema limbico e la corteccia prefrontale, che sono però rilevabili solo quando la malattia è in fase avanzata e caratterizzate oltretutto da una grande variabilità individuale, spiega Cerasa.
L'utilizzo di un algoritmo, sviluppato dal gruppo di lavoro dell'Ibfm-Cnr, ha permesso invece di rielaborare i dati di morfologia cerebrale ottenuti per mezzo di una risonanza magnetica per riconoscere se un cervello appartiene a un individuo sano o a uno malato, massimizzando «il contrasto tra gruppi di immagini per individuare quali caratteristiche permettono di distinguere le categorie di soggetti nel modo più evidente possibile», spiega Isabella Castiglioni. Tecniche che si basano sugli algoritmi sono già in grado di identificare biomarcatori di alcune malattie come Alzheimer e Parkinson con un'accuratezza di circa il 90%.
Nello studio, realizzato su un campione di 17 donne con età compresa tra i 18 e i 40 anni affette da Dca confrontate con un gruppo controllo di donne sane, l'algoritmo è riuscito a distinguere i soggetti malati dai sani nell'80% dei casi.
I risultati seppur promettenti sono comunque preliminari. Secondo gli stessi ricercatori, saranno necessari studi approfonditi, eseguiti su un campione più vasto di soggetti e rappresentativo di tutte le tipologie di Dca, prima che la loro tecnica possa essere usata come uno strumento clinico, ma prevedono che in questo modo si potrà evidenziare la malattia fin dalle fasi iniziali e comprendere la sua evoluzione.

Francesca De Vecchi

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