Clinica

set282015

Alterazione del microbiota intestinale come probabile concausa dell'obesità

Homo sapiens è correttamente definito come un super-organismo, poiché molte funzioni metaboliche e immunitarie indispensabili per la sopravvivenza nel corso dell'evoluzione sono state demandate alla comunità di micro-organismi che risiedono nel nostro apparato digerente (microbiota intestinale o MI).
Recentemente è stata presa in considerazione l'ipotesi che una alterazione del MI (disbiosi) indotta da una o più possibili cause (tra cui un abuso di antibiotici, in particolare in età pediatrica o una dieta eccessivamente ricca di grassi e proteine) possa rappresentare una concausa per l'obesità.
L'osservazione che ha dato l'avvio a questo filone di ricerca è partita nel 2006 da uno studio (1)
condotto da J. Gordon (USA) che ha mostrato: 1) sia nell'animale sia nell'uomo l'obesità si associa a una variazione nell'abbondanza relativa di due "divisioni" batteriche dominanti, i Firmicutes (che aumentano) e i Bacteroidetes (che diminuiscono); 2) questo microbiota alterato comporta  un'aumentata estrazione di calorie a partire da elementi nutrizionali inerti come le fibre; 3) il suo trapianto in un animale magro lo rende grasso.
Oggi, a distanza di alcuni anni da quel lavoro seminale, appare chiaro che l'obesità è una patologia multi-fattoriale contrassegnata da infiammazione di basso grado e aumentata resistenza periferica all'insulina, in cui comunque il ruolo della disbiosi è importante (2-4), e si esplica mediante vari meccanismi. Tra i più importanti ricordiamo: 1) l'assorbimento dei polisaccaridi complessi presenti nelle fibre vegetali, che vengono trasformati in acidi grassi a catena corta, convogliati al fegato per una lipogenesi de novo, e in trigliceridi, che vengono depositati nel tessuto adiposo e nel fegato stesso; 2) la soppressione, da parte del microbiota, del FIAF (Fast-Induced Adipose Factor), un inibitore della lipoproteinlipasi, enzima che idrolizza i trigliceridi e ne favorisce l'accumulo nell'adipocita; e infine, 3) l'assorbimento di un fattore endotossico, il LPS (lipopolisaccaride, contenuto nella parete dei batteri Gram negativi) a causa di un'aumentata permeabilità intestinale, che a sua volte si traduce in un'aumentata produzione di citochine infiammatorie, con aumento dell'infiammazione sub-clinica (cosiddetta infiammazione metabolica) e insulino-resistenza.
Tutto quanto sinora esposto rende conto del grande interesse verso la possibilità, già provata nell'animale e ancora in divenire sull'uomo, di trattare l'obesità/steatosi epatica mediante la somministrazione di prebiotico. 

Bibliografia:
1) Turnbaugh PJ, Ley RE, Mahowald MA, et al (2006). An obesity-associated gut microbiome with increased capacity for energy harvest. Nature 444:1027-1031
2) Robles Alonso V, Guarner F (2013). Linking the gut microbiota to human health. British Journal of Nutrition 109:S21-S26
3) Tagliabue A, Elli M. The role of gut microbiota in human obesity: recent findings and future perspectives (2013). Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases 23, 160-168
4) Wu GD, Chen J, Hoffmann C, Bittinger K, et al (2011). Linking long-term dietary patterns with gut microbial enterotypes. Science 334:105e8.


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