Scienza

apr72016

La salute delle popolazioni tradizionalmente vegetariane è a rischio

Le popolazioni tradizionalmente vegetariane presentano un polimorfismo genetico che le espone a un maggior rischio di patologie cardiovascolari e tumori.
Uno studio, pubblicato sulla rivista "Molecular biology and evolution" da Tom Brenna e colleghi della Cornell University, ha analizzato la prevalenza di alcuni polimorfismi di un gene che codifica per un enzima che converte omega-3 e omega-6 in acidi grassi polinsaturi a lunga catena (Lcpufa). Questi, che sono componenti essenziali delle membrane fosfolipidiche e fungono da precursori di molecole di segnale, possono essere ottenuti direttamente da cibi animali o sintetizzati per via endogena. I vegani fanno affidamento quasi esclusivamente al meccanismo endogeno per soddisfare il fabbisogno di Lcpufa, perciò è stato ipotizzato che le popolazioni tradizionalmente vegane potessero presentare una mutazione adattativa che conferisse loro un vantaggio nella sintesi endogena. Erano già noti in particolare due alleli I e D: gli omozigoti I/I hanno maggiori capacità di produrre Lcpufa da precursori rispetto agli omozigoti D/D. Per la prima volta è stata studiata la prevalenza degli omozigoti I/I e D/D in due popolazioni: gli indiani di Pune e un gruppo di statunitensi. Tra gli indiani, una popolazione tradizionalmente vegetariana, il 67,5% era omozigote I/I e solo il 3% D/D, mentre nella più eterogenea popolazione statunitense si sono rilevate le seguenti percentuali: D/D 43%, I/I 18%. A livello mondiale il genotipo I/I risulta prevalente nell'Asia meridionale e in Africa. Il genotipo I/I si associa a livelli plasmatici aumentati di acido arachidonico (Ara), un Lcpufa sintetizzato a partire dall'acido linoleico (omega-6) che si trova in oli derivati da semi, come l'olio di soia. L'Ara è il precursore di diverse prostaglandine, molecole coinvolte nei processi infiammatori. Il vantaggio un tempo conferito dall'aplotipo I/I alle popolazioni che seguivano una dieta vegetariana, ricca in olio di oliva e avocado a basso contenuto di omega-6, potrebbe divenire oggi uno svantaggio a causa del cambiamento nell'alimentazione. Mentre, infatti, l'Homo sapiens si è evoluto seguendo una dieta caratterizzata da una proporzione tra omega6/omega3 di 4:1 fino a 1:1, attualmente l'apporto di acido linoleico nella dieta occidentale è 10 volte maggiore rispetto all'apporto di omega-3 e nella dieta indiana potrebbe essere addirittura 20-50 volte superiore. Vi è una sostanziale evidenza che questo cambiamento nell'alimentazione costituisce per queste popolazioni un fattore di rischio per patologie cardiovascolari e infiammatorie, diabete e cancro del colon.

Per approfondimenti:
http://mbe.oxfordjournals.org/content/early/2016/04/04/molbev.msw049.short?rss=1

Irene Campagna

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