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mag32018

Da cosa dipende la qualità nutrizionale di una pasta di grano duro

Non c'è dubbio che la qualità del grano determini le caratteristiche fondamentali del prodotto di punta della nostra tradizione culinaria, alla base della Dieta Mediterranea. Sulla bontà complessiva di una pasta però giocano un ruolo fondamentale anche la scelta della tecnologia di lavorazione e il modo in cui viene applicata.
Quando si parla di qualità della "pasta" ci si riferisce spesso agli aspetti sensoriali, cioè di sapore, di consistenza e di tenuta in cottura, come il colore giallo paglierino (quello del grano maturo, né troppo chiaro né troppo scuro) e la consistenza al dente ed elastica (a riprova anche di un indice glicemico inferiore). Da un punto di vista chimico-nutrizionale invece, la composizione proteica, in particolare la disponibilità dell'aminoacido lisina e la ridotta formazione di composti di degradazione, non presenti nella semola di partenza, sono i parametri di riferimento. «Queste caratteristiche sono influenzate da due fattori: il processo produttivo, all'interno del quale le temperature impiegate rivestono un ruolo fondamentale e la qualità delle materie prime (tra cui la cultivar di grano)», spiega Luca Piretta, dell'Università del Campus Biomedico di Roma, a margine del congresso di nutrizione Nutrimi, svoltosi a Milano lo scorso aprile.
Oltre al contenuto proteico complessivo, è il glutine, proteina di struttura del grano di scarso valore nutrizionale, che permette di ottenere una pasta di buona consistenza. Nel grano coltivato in Italia questi due fattori sono generalmente inadeguati in quantità in qualità, tanto da rendere necessario ricorrere a dei correttivi.  Quali? L'uso di grani con un maggior contenuto proteico totale, un glutine più forte (come si dice in gergo) e la tecnologia. Infatti oggi la pasta in Italia è prodotta con grani di diverse provenienze, miscelati per avere una materia prima con tenore proteico minimo adatto alla pastificazione.
In più, da vent'anni a questa parte, si utilizzano tecnologie di essicazione ad alta temperatura (fra 75 e 90-95°C) per 3-8 ore, che compensano alle carenze proteiche della materia prima. Se molto spinte tuttavia, le alte temperature arrivano anche a coprire una qualità di grano particolarmente scadente (stiamo sempre parlando di qualità proteica).
In buona sostanza anche questo processo deve essere condotto secondo buone pratiche di fabbricazione. Temperature troppo alte di fatto «minano alcune proprietà organolettiche, appiattiscono i sapori, aumentano l'imbrunimento e producono un danno nutrizionale» spiega ancora il nutrizionista.
Il danno nutrizionale di cui si parla è correlato alla formazione di furosina, composto derivato dall'idrolisi acida di molecole che si formano nei processi di imbrunimento (reazione di Maillard). Poiché l'aminoacido lisina entra a far parte della furosina, maggiore è il contenuto di furosina, maggiore sarà la lisina non più disponibile per l'organismo, danneggiando così il pool aminoacidico e il profilo nutrizionale della pasta. Inoltre la presenza di questo marker di degradazione sta ad indicare la possibile formazione di altre sostanze tossiche o nocive per l'organismo (AGEs, Advanced Glycation End-product). 
Tuttavia la scelta di una materia prima di qualità e una buona regolazione dei parametri di processo possono limitare il danno e far ottenere anche nell'ambito delle paste industriali prodotti con un profilo nutrizionale corretto. Come riconoscerli? La misura del danno termico è ovviamente rilevabile in modo inequivocabile sperimentalmente, ma in genere temperature troppo alte danno paste che a crudo sono di colore brunito anziché ambrato e a fine cottura mantengono sempre un "cuore" duro che non ha nulla a che spartire con il concetto ben noto di "pasta al dente". 

Francesca De Vecchi


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