Clinica

mar282018

Allergie, intolleranze alimentari e trattamento dell'obesità in ambito clinico

Nella pratica clinica succede molto spesso che arrivino in ambulatorio pazienti che a loro dire sono "intolleranti" o "allergici" a determinati alimenti e profondamente convinti che la loro condizione di sovrappeso o di obesità sia la conseguenza di quella presunta allergia o intolleranza alimentare. Negli ultimi anni si è assistito a una enorme diffusione di diete restrittive che trovano fondamento su test diagnostici di "intolleranza alimentare" eseguiti su diversi substrati biologici (sangue, saliva, capelli), attribuendo a tali diete una funzione di dimagrimento o di disintossicazione per l'organismo. Tutto questo ha contribuito a determinare anche molta confusione fra allergie alimentari vere e proprie (condizione sempre derivante da una specifica risposta immunitaria riproducibile alla riesposizione), altre condizioni immunomediate ma non allergiche come la celiachia e la sindrome da nichel e infine le intolleranze alimentari propriamente dette che non vedono mai il coinvolgimento del sistema immune, ma che sono dovute a carenza di enzimi (come l'intolleranza al lattosio o il favismo) o alla presenza di sostanze alimentari farmacologicamente attive come la tiramina, l'istamina, la caffeina (contenute in pesce, cioccolato e prodotti fermentati) o alla presenza di additivi chimici, coloranti, aromi ecc. L'atteggiamento corretto prevede quindi l'utilizzo di test validati per la diagnosi di allergie, che sono di tipo cutanei (prick e patch test), sierologici per la ricerca di IgE totali (PRIST) o specifiche (RAST) e il test di provocazione orale (TPO). Nel caso delle intolleranze invece si utilizza il Breath test per il lattosio, mentre per la diagnosi di intolleranze farmacologiche l'unico approccio è di tipo anamnestico e per gli additivi è possibile effettuare il test di provocazione con la somministrazione dell'additivo sospettato.
Sono invece da scoraggiare test non appropriati o non validati scientificamente quali il dosaggio delle IgG4, il test citotossico o di Bryan, l'Alcat test, i test elettrici fra cui elettroagopuntura e Vega test, il test kinesiologico, il Dria test, l'analisi del capello, l'iridologia.
Sebbene l'attivazione del sistema immune può contribuire allo sviluppo di insulinoresistenza e uno stato infiammatorio, la presenza di anticorpi IgG4 "alimento specifico" non indica una condizione di allergia o intolleranza alimentare quanto piuttosto una risposta fisiologica del sistema immune all'esposizione a tali alimenti e clinicamente irrilevante sia per la diagnosi di allergia e intolleranza alimentare che come strategia d'intervento nutrizionale per la riduzione del peso. Appare dunque chiaro che diete basate su un semplice "elenco" di alimenti da eliminare, come risultante dei test diagnostici alternativi privi di validità scientifica, possono comportare solo rischi nutrizionali da non sottovalutare. Studi epidemiologici, etiopatogenetici e clinici dimostrano che intolleranze alimentari e obesità sono due patologie indipendenti tra loro, senza alcun legame e tutto ciò contribuisce solo a determinare un rischio nutrizionale e ad alimentare il mercato della "diet industry". È bene anzi ricordare ai pazienti che i sintomi gastrointestinali che si associano talora a allergie o intolleranze alimentari vere e proprie, possono al contrario determinare un calo di peso piuttosto che un aumento.

Per approfondimenti
Position Statement su "Allergie, intolleranze alimentari e terapia nutrizionale dell'obesità e delle malattie metaboliche" 

Marco Tonelli


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