Scienza

apr252018

Obesità e diabete, sempre più prove a sostegno dell'influsso del microbioma intestinale

Una recente "Opinion" pubblicata su JAMA ha evidenziato i meccanismi alla base dell'aumentato rischio di obesità e diabete dovuta a una prevalenza, nell'ambito del microbiota intestinale, di batteri Firmicutes rispetto ai Bacteroidetes che influenzerebbe il metabolismo non solo glucidico ma anche lipidico, provocando un'aumentata produzione di acidi grassi a catena corta, con incremento di acetato e diminuzione di butirrato. In conseguenza di tale squilibrio, si genererebbero insulino-resistenza, aumento di Ghrelina gastrica con effetto oressizzante e una condizione infiammatoria cronica. In generale, sottolinea Feliciano Lo Pomo, UOC di Malattie Endocrine e del Metabolismo, AOR S. Carlo, Potenza «negli ultimi anni si è concentrata l'attenzione della ricerca clinica sul possibile ruolo del microbioma intestinale nella patogenesi delle malattie metaboliche. I microbioti che colonizzano l'apparato intestinale posseggono molti più geni rispetto a quelli umani e potrebbero quindi maggiormente condizionare l'equilibrio energetico dell'organismo, lo stato pro-infiammatorio e immunologico, l'insulino-sensibilità e quindi relazionarsi alla patogenesi di patologie dismetaboliche, quali l'obesità e il diabete mellito. Un crescente interesse per il microbioma si sta estendendo anche in ambito oncologico, reumatologico, pneumologico e ginecologico». Nella Opinion citata in apertura - riporta Lo Pomo -si analizzavano anche studi che valutavano la dieto-terapia e l'uso di probiotici nel riequilibrare in maniera pro-attiva la flora batterica intestinale, con favorevole conseguenza sul metabolismo, e l'effetto della metformina nel determinare una maggiore presenza di Akkermansia muciniphilamucina-degradante e di diversi altri microbioti produttori di SCFA (short-chain fatty acid).

Un recente studio (Allen JM, et al. Med Sci Sports Exerc, 2017) ha valutato le modifiche del microbioma intestinale determinate dall'esercizio fisico nell'uomo, prosegue lo specialista. Sono stati reclutati 32 soggetti con vita sedentaria, 18 magri (9 femmine e 9 maschi) e 14 obesi (11 femmine e 3 maschi), i quali sono stati sottoposti a 6 settimane di allenamento controllato. «Dopo il periodo di allenamento, i partecipanti ritornavano alle precedenti abitudini sedentarie, per un periodo di wash-outdi altre 6 settimane» spiega Lo Pomo. «L'analisi di campioni di feci raccolti prima della fase di allenamento, al suo termine e dopo il wash-out, ha evidenziato che l'esercizio fisico determina cambiamenti nella composizione e nelle funzioni del microbioma, indipendenti dalla dietae connesse alla presenza o meno di obesità. L'esercizio fisico aumenta le concentrazioni degli SCFA nei soggetti magri ma non negli obesi e induce variazioni dell'attività metabolica del microbioma, che riflettono alterazioni dei geni e delle specie batteriche produttrici di SCFA. Tali variazioni tendono a regredire al termine del periodo di allenamento». Questo studio, commenta l'endocrinologo, conferma nella specie umana i risultati di uno studio in cui era stato trapiantato in ratti germ-freeil microbioma di due gruppi di ratti, uno con abitudini sedentarie e un altro sottoposto ad allenamento su una ruota girevole (Allen JM, et al. Gut Microbes, 2017) e nel quale, dopo 5 settimane, erano stati analizzati i tessuti dei 2 gruppi per valutare le rispettive modificazioni dell'ambiente microbiotico intestinale.

Altri elementi atti ad arricchire e sostenere la possibile causa dismicrobica nella genesi delle patologie metaboliche, in particolare del diabete, vengono da un recente studio di Harvard (Joshipura KJ, et al. Nitric Oxide, 2017). «Partendo dal dato acquisito che alcune tipologie di batteri del cavo orale hanno un ruolo attivo per l'organismo nella produzione di ossido nitrico (catalizzando la riduzione di nitrato a nitrito), che contribuisce alla regolazione della pressione arteriosa e dei livelli fisiologici di insulina, si è valutato se l'uso quotidiano di un collutorio anti-batterico possa determinare uno squilibrio nella flora batterica della bocca, attaccando tutti i batteri presenti, sia quelli dannosi sia quelli protettivi versi l'obesità e il diabete» riferisce Lo Pomo. «In un campione di 1106 persone, di 40-65 anni, non diabetiche e senza importanti patologie cardio-vascolari, è stato analizzato l'utilizzo di un collutorio (a base di cloruro di cetilpiridinio, clorexidina, triclosan) nell'igiene della bocca e dei denti: il 47% non lo adoperava mai, il 31% ≤ 1 volta al giorno e il 22% ≥ 2 volte al giorno». L'analisi del campione - corretta per età, sesso, abitudine al fumo, attività fisica, circonferenza addominale e ipertensione arteriosa - ha evidenziato come coloro che utilizzavano il collutorio 2 o più volte al giorno avevano un aumento del 55% del rischio di sviluppare diabete o pre-diabete rispetto a coloro che lo utilizzavano meno frequentemente e del 49% rispetto ai non utilizzatori. I risultati non cambiavano includendo nell'analisi anche altri elementi, quali condizioni odonto-stomatologiche, farmaci, dieta, HOMA-IR, glicemia a digiuno e 2 ore dopo carico di glucosio, livelli di PCR, etc. «Lo studio, pur con i limiti riconosciuti dagli stessi autori (distribuzione etnica sbilanciata, possibile interferenza di altri fattori confondenti non considerati) dimostrerebbe che l'uso del collutorio a effetto anti-batterico ≥ 2 volte al giorno è associato ad aumentato rischio di sviluppare diabete o pre-diabete. Da questa conclusione deriva il consiglio di utilizzare il collutorio una sola volta al giorno» riporta Lo Pomo.

Oggetto di un recente studio (Torres PJ, et al. J Clin Endocrinol Metab, 2018) è stato infine il ruolo dell'iperandrogenismo nel determinare cambiamenti del microbioma intestinale in donne con sindrome dell'ovaio policistico (PCOS). Sono state reclutate 73 donne con PCOS, 42 donne con morfologia ovarica policistica (PCOM) senza altre stigmate di PCOS e 48 donne senza patologia. «L'analisi dei campioni delle feci ha evidenziato una sensibile riduzione della diversità media delle specie microbiomiche ('alpha diversity'secondo il concetto ecologico di Robert Wittaker) nel gruppo con PCOS rispetto alle donne senza patologia; le donne con PCOM mostravano una biodiversità intermedia rispetto agli altri 2 gruppi» osserva Lo Pomo. «I livelli di testosterone totale e i segni di irsutismo correlavano negativamente con l'alpha diversity. Tali alterazioni del microbioma potrebbero rendere ragione dei possibili effetti cardio-metabolici della PCOS. Risultano invece non ancora chiari i rapporti patogenetici tra iperandrogenismo e microbioma, né quali siano le specie batteriche intestinali maggiormente implicate». Questi studi, come altri, evidenziano come in futuro si dovranno tenere sempre più in considerazione le specie microbiomiche intestinali, che concorrono in maniera decisiva all'equilibrio metabolico dell'organismo e sono alla base della difesa da molteplici patologie croniche e dalle loro complicanze, conclude Lo Pomo.

JAMA, 2017: 317: 355-6.


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