Attualità

apr192017

La mappatura del microbioma italiano

"Progetto Microbioma Italiano IMP" nasce con lo scopo di costruire un database con informazioni provenienti esclusivamente dal microbioma della popolazione italiana, nata e vissuta in Italia. Ne abbiamo parlato con Fabio Piccini, ricercatore in scienza della nutrizione presso la Facoltà di Medicina dell'Università Politecnica delle Marche e coordinatore del progetto, che ci ha spiegato come stile di vita e alimentazione che si seguono fin da bambini, determinino il tipo di popolazione batterica intestinale in modo univoco. I dati ricavati dal progetto americano (American Gut Project), a cui quello italiano si ispira, non possono infatti essere presi come riferimento, proprio per le differenze fra le due popolazioni. "Abbiamo pensato di riunire, aggregandoli, i dati di mappatura di gruppi di ricercatori e creare un database aperto alla consultazione. L'obiettivo è permettere di valutare la composizione batterica di singoli individui rispetto a una media ponderata nazionale" ha spiegato Piccini.

A che punto è oggi il Progetto Microbioma?
Oggi abbiamo un numero di dati ancora limitato: poche centinaia di test che non bastano per trarre conclusioni su base statistica, ma sono sufficienti per fare inferenze. Un primo dato è la conferma della nostra ipotesi di partenza: si è provato infatti che non possiamo confrontarci con la popolazione americana: le percentuali di colonizzazione dell'intestino rispetto a determinate famiglie batteriche sono infatti molto diverse. Per avere numeri consistenti e trarre conclusioni significative ci vorranno almeno due anni.

Qual è l'effetto di un'assunzione di probiotici non specifici?
Oggi prevale la tendenza alla semplificazione, anche per ragioni commerciali e di marketing.  Si crede che assumere probiotici apporti comunque un beneficio, indipendentemente dal tipo. Molte delle popolazioni probiotiche che vengono oggi somministrate con le capsule, sono composte da ceppi colonizzatori. Questi batteri possono produrre alterazioni nell'ambiente in cui vengono inseriti, come quando in natura si introducono artificialmente specie animali per il ripopolamento: l'intero ecosistema può soffrirne. Alcuni probiotici possono sortire lo stesso effetto e generare disbiosi intestinali: i lattobacilli per esempio competono con successo per i substrati di nutrienti; producono acido e batteriocine che inibiscono la crescita di altri batteri. Se dovesse diffondersi un consumo senza controllo medico e razionale scientifico, potremmo registrare fenomeni di disbiosi da probiotici. Da un certo punto di vista sarebbe più saggio utilizzare alimenti fermentati che apportano piccole quantità di probiotici, per altro di diverse specie (mentre in una capsula ce ne sono solo due o tre). Questi alimenti apportano anche substrati utili per gli altri batteri presenti nell'intestino, agendo sia con modalità dirette sia indirette e aumentando la ricchezza di tutto il microbioma.

Quanto il digiuno può influire sulla composizione del microbioma?
Gli unici studi che hanno investigato il rapporto fra digiuno e microbioma sono stati eseguiti su animali in letargo. Sull'uomo invece gli studi sono complicati dalla difficoltà di trovare dei soggetti in grado di seguire scrupolosamente un protocollo molto restrittivo. Sugli animali il digiuno si limita a ridurre lievemente la varietà del microbioma, che tuttavia si ricompone una volta che il soggetto si risveglia e ricomincia a nutrirsi in modo naturale. Nell'uomo potremmo supporre lo stesso iter se non fosse che la sua alimentazione non si può dire "naturale", dal momento che predilige spesso alimenti trattati e trasformati (a cominciare dalla cottura).

Francesca De Vecchi


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