Attualità

lug262017

Ci siamo dimenticati dell'EBM?

Riccardo Caccialanza commenta l'intervista a Valter Longo

Mi occupo di nutrizione clinica e artificiale in ambito oncologico presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia da più di quindici anni e, negli ultimi due ho la fortuna di farlo anche nel contesto del gruppo di lavoro intersocietario dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), della Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) e della Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo (Sinpe) come rappresentante di quest'ultima. La ricerca ha da sempre un ruolo centrale nell'attività del nostro gruppo e, in particolare in campo nutrizionale, lo avrà nei prossimi anni per migliorare la qualità delle cure ai pazienti. Uno dei problemi più frequenti che ci troviamo ad affrontare nella nostra collaborazione quotidiana con i colleghi oncologi è la disinformazione in campo nutrizionale, che spinge moltissimi pazienti a richiedere di essere sottoposti a diete anti-cancro o regimi calorici restrittivi, sull'onda di quanto pubblicizzato da servizi televisivi, siti internet e libri. Uno dei temi più ricorrenti è il digiuno prima dei trattamenti chemioterapici, che rappresenta sicuramente un filone di ricerca innovativo e promettente, ma che è ancora in fase di studio e non è ancora, se mai lo sarà, avvallato da alcun dato clinico con evidenza accettabile. Così come credo che 24 ore di digiuno non possano essere dannose in pazienti oncologici non malnutriti, con altrettanta convinzione dubito, per ora, che queste stesse 24 ore possano essere determinanti nell'esito delle terapie e, in ultimo, della malattia stessa. Ma alla base di questa visione vi è non tanto il dubitare delle basi scientifiche, che a livello di studi su modelli cellulari e preclinici sono decisamente interessanti e anzi promettenti, quanto il mettere in discussione le scelte comunicative e le strategie di "marketing" strettamente connesse a questo tema: se è vero che "una rondine non fa primavera" dovrebbe essere altrettanto vero che una concreta traccia da seguire all'interno di un iter scientifico complesso e in fase iniziale non significa "ho trovato la risposta e si deve fare così". E non lo deve significare soprattutto per chi lega in modo ancora forte a una diagnosi tumorale l'idea di incurabilità e morte. Sono il primo a sperare che il digiuno o le cosiddette diete mima-digiuno siano quell'aspetto mancante dei trattamenti oncologici che in tantissimi vanno cercando, ma sono e resto fermamente convinto che in medicina in generale, e in oncologia in particolare, sia necessario non perdere di vista l'approccio dell'Evidence-Based Medicine. Ritengo quindi che per provare l'efficacia di una strategia terapeutica debbano essere effettuati studi rigorosi, condotti seconde le norme di buona pratica clinica. Se e quando il digiuno prima dei trattamenti raggiungesse questo grado di evidenza, rappresenterebbe un traguardo di grande rilievo e tutte le strategie di comunicazione che permettano di divulgarlo al numero maggiore possibile di centri oncologici sarebbero ovviamente le benvenute.  Oggi, però, pur in attesa di risultati clinici tangibili, ossia non solo relativi a target molecolari su colture cellulari e animali e tollerabilità nell'uomo, ma su risposta alle terapie, sopravvivenza libera da malattia e qualità di vita, assistiamo al paradosso consistente nel fatto che vi sono più persone che conoscono i presunti vantaggi di questa strategia di quanti siano consapevoli dei rischi clinici associati, ben documentati dalla letteratura internazionale, alla malnutrizione e alla sarcopenia nei pazienti oncologici. Probabilmente ciò deriva proprio dalle strategie comunicative che non consentono l'agevole distinzione tra il comunicare evidenza rispetto alle opinioni, anche degne di tutto rispetto in quanto autorevoli, ed hanno l'effetto di confondere chi non ha basi culturali e razionali sufficienti per addentrarsi nei cavilli scientifici e discriminare quindi tra oggettività e intuizioni ancora da verificare.
Fino al momento in cui si dimostrerà la validità del digiuno nel migliorare l'efficacia delle cure, penso che l'approccio nutrizionale più corretto nei pazienti oncologici sia ancora quello basato sul counseling dietetico personalizzato e contestualizzato nel quadro più generale dello stile di vita, che tenga conto non solo delle condizioni cliniche del singolo paziente, ma che non perda di vista la qualità di vita, le aspettative e la vitale importanza di evitare sarcopenia e malnutrizione.
Dico questo con la sincera speranza che l'approccio del digiuno si dimostri efficace, anche perché costituirebbe davvero uno strumento di agevole praticabilità e alla portata di tutti. A questo proposito, in conclusione, trovo quanto meno curioso che si stia iniziando a commercializzare il digiuno o la restrizione calorica con kit pronti che contengono cocktail di nutrienti in grado, a detta dei produttori ma anche qui senza alcun dato clinico disponibile, di ottimizzare la risposta alle terapie. Ma a volte dimentico, o forse voglio dimenticare, che viviamo in un'era in cui sono commercializzati anche i kit per la meditazione.

Il digiuno prima dei trattamenti chemioterapici rappresenta sicuramente un filone di ricerca innovativo e promettente, ma è ancora in fase di studio e non è ancora, se mai lo sarà, avvallato da alcun dato clinico con evidenza accettabile.

Riccardo Caccialanza


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