Attualità

nov82018

Alcol: sì, no. Dipende

Hanno avuto grande eco le conclusioni di uno studio internazionale sugli effetti del consumo di alcol nella popolazione mondiale. Analizzati i livelli, le abitudini di consumo e le conseguenze sulla salute della popolazione di 195 paesi nel periodo 1990-2016 e passati in rassegna più di 1000 lavori, i ricercatori hanno concluso che la quantità di consumo più sicura, praticamente non c'è. O meglio, per citare le conclusioni "i rischi di mortalità per tutte le cause, soprattutto cancro, crescono con l'aumentare dei livelli di assunzione e la quantità che minimizza i rischi di malattia è pari a zero". Abbiamo chiesto un commento a Giuseppe Grosso, medico specialista in Igiene e Sanità Pubblica, esperto in nutrizione, coautore dello studio recentemente pubblicato su Lancet.
In questo studio il rischio di ammalarsi di alcune patologie specifiche è stato associato al consumo nazionale di alcol e in tutti i casi il rischio minore era sempre quello connesso al non consumo. I possibili vantaggi protettivi derivanti da un impiego moderato di vino (per esempio per le patologie cardiovascolari), non compenserebbero quindi i rischi in relazione ad altre patologie.
Bisognerebbe però fare alcune osservazioni. «I risultati dello studio sono globali e come tali danno solo un certo tipo di indicazioni. Su base nazionale o locale è necessario tenere conto delle differenze di abitudini e stili di vita - premette Grosso - Lo studio valuta i rischi connessi al consumo di alcolici in coorti molto numerose e a livello mondiale; fa riferimento a "standard drink", che comprendono anche i superalcolici. In un lavoro del genere si "perde" quindi il particolare e non si riesce a tenere associati gli stili di vita al consumo di alcol, al modo cioè in cui in ogni nazione si è soliti bere sostanze alcoliche. La modalità italiana di consumo, tanto per fare un esempio, è peculiare e prevede che si beva di solito durante i pasti».
Quale è stato quindi l'obiettivo di questo lavoro e come devono essere interpretati i dati? Lo studio rientra nel più ampio progetto The Global Burden of Disease (GBD), uno strumento di quantificazione dei danni alla salute dovuti alle diverse malattie, per fornire agli Stati strumenti per la gestione del sistema sanitario. «In pratica è una stima dell'impatto reale sulla salute, valutato a livello di grandi numeri. - spiega l'esperto -e ha messo in evidenza come la prima causa di morte legata al consumo di alcolici siano gli incidenti stradali e la seconda la tubercolosi. Sono dati importanti da cui trarre indicazione per i policy maker, in termini di gestione delle politiche sanitarie»
Dal punto di vista metodologico è stato condotto al meglio che delle modalità, commenta Grosso. «Lo studio ha alcuni limiti, ma sono quelli caratteristici di questa tipologia di indagine. Per esempio, il campione selezionato dovrebbe essere estremamente rappresentativo. Non sempre tuttavia, in questi studi globali si riescono ad avere a disposizione i dati che meglio discriminano le abitudini reali della popolazione locale».
A livello nazionale quindi le conclusioni andrebbero interpretate. L'Italia rappresenta un unicum perché le nostre modalità di consumo differiscono molto dal resto dei paesi e il rischio associato al consumo di alcol dipende anche dallo stile di vita in generale (fumo, sedentarietà, obesità, diabete). «I risultati hanno portato i ricercatori a concludere che è necessario rivedere le politiche di consumo, per diminuire ovunque nella popolazione le quantità di alcol assunte, ma da un punto di vista di pratica clinica, a livello locale e soprattutto in Italia, l'assunzione di alcol (il bicchiere di vino a pasto) andrebbe comunque valutata in base allo stile di vita e alla contemporanea presenza di altri fattori di rischio» conclude Grosso.

Francesca De Vecchi

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