Clinica

ott292018

Punti fermi, evidenze e sperimentazione clinica

Tra le varie sindromi paraneoplastiche che si presentano nel paziente la cachessia è ciò che più preoccupa l'oncologo perché se è e resta vero ciò che si pensava anni fa, ovvero che se si cura il tumore si cura in automatico anche la cachessia, oggi si guarda in maniera differente all'aspetto nutrizionale. Nutrizione33 affronta l'argomento con Alessandro Laviano, docente di Medicina Interna e Metabolismo dell' Università La Sapienza di Roma con al suo attivo oltre 200 pubblicazioni, molte delle quali proprio sulla malnutrizione.

"Non sempre un paziente malnutrito può ricevere i trattamenti di cui avrebbe bisogno e quindi all'oncologo viene a mancare la possibilità di risolvere la malnutrizione attraverso la cura del tumore. Molti studi dimostrano che lo stato nutrizionale del paziente influenza la tossicità del farmaco e la probabilità di portare o meno a termine i trattamenti: ecco perché oggi la valutazione e la presa in carico nutrizionale del paziente ha assunto un ruolo importante. Cito ad esempio il lavoro pubblicato da poco su JAMA Oncology in cui gli Autori hanno dimostrato un migliore percorso, ed esito, terapeutico di pazienti affetti da tumore al colon retto al terzo stadio che seguivano la healthy diet, una dieta salutare, con minor rischio di recidive. Questo non significa che questo tipo di dieta, con cibi integrali e vegetali, sia quella "da seguire" in tutte le fasi della malattia ed in tutti i tipi di tumore, ma che avere un'alimentazione completa di tutti i nutrienti ha un impatto sull'intero percorso di cura del paziente. Ricordo che pazienti che hanno tumori in stadio avanzato hanno di fronte a loro percorsi di cura che possono durare mesi o anche anni e all'interno di questo cammino avranno finestre di crisi cataboliche in cui la progressiva perdita di stato nutrizionale andrà a interferire sul percorso di cura stesso. Faccio alcuni esempi: al momento della diagnosi di stadio avanzato il paziente può peggiorare il proprio stato di nutrizione perché è insorta una depressione, oppure all'inizio di una chemioterapia è la nausea la causa della perdita ponderale, o ancora può subentrare avversione per alcuni cibi. Il supporto nutrizionale in oncologia è e deve essere questo: superare le difficoltà che il paziente incontra lungo il percorso affinché mai riduca l'intake di nutrienti essenziali e mantenga il proprio peso. È ovviamente difficile fare ciò attraverso schemi rigidi e protocolli: per qualcuno basterà un'attività di counselling, per qualcun altro si dovrà scendere nell'estremo dettaglio di indicazioni pratiche. E molto dipende anche dalla sede del tumore perché chi ha la malattia a livello di testa-collo avrà molto probabilmente problemi con i cibi solidi quindi si dovrà lavorare sulle consistenze, o addirittura intervenire con una nutrizione enterale o parenterale. Altro punto fermo è che chi ha tumori in stadio avanzato difficilmente ha un solo sintomo alla volta, quindi non bisogna mai perdere di vista la persona nella sua interezza, anche perché le evidenze scientifiche parlano oggi chiaro: affrontare il tumore prendendo in carico anche tutti i sintomi e segni "collaterali" al percorso di cura influenza positivamente l'esito dello stesso. Ecco perché credo che il futuro risieda nell'integrazione tra la terapia oncologica e la terapia di supporto, in cui la nutrizione gioca un ruolo chiave e permette di sfruttare anche alcune proprietà di nutrienti specifici, come la capacità antinfiammatoria. In tal senso esistono già alcuni dati, davvero molto preliminari, che suggeriscono l'utilizzo dell'alimentazione in tal senso. In chiave antinfiammatoria trovo anche di estremo interesse concettuale la dieta chetogenica, anche se mancano dati che ci consentono di poterla proporre. Diversi dati sperimentali, ma non ancora clinici perché i trial sono attualmente in corso, supportano il potenziale beneficio del digiuno. Attenzione: ovvio che se tolgo al tumore glucosio e aminoacidi la cellula neoplastica ne risente, ma prima ne risente la persona che ospita il tumore, quindi non è di questa pratica che si parla. Gli studi vanno nella direzione dell'assecondare i ritmi circadiani e nell'individuare finestre temporali in cui deve esserci nutrizione, adeguata e completa, e finestre in cui deve esserci digiuno. Nelle donne con neoplasia alla mammella con 13 ore di digiuno al giorno i risultati già sono disponibili. In questo momento non sono assolutamente da raccomandare, perché manca il grado di evidenza necessario, periodi di restrizione calorica o brevi digiuni o una dieta mima-digiuno: io personalmente credo molto nelle loro potenzialità perché queste metodiche sono in grado di attivare meccanismi di auto protezione nelle cellule sane, con conseguente maggiore efficacia nella terapia e minori effetti collaterali, e mi aspetto risultati importanti dai trial attualmente in corso in varie parti del mondo".

Silvia Ambrogio

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